Le perizie di stima per i mutui: una criticità sottovalutata

Le perizie di stima per l’ottenimento di un mutuo, nate come strumento di garanzia per il credito, da tempo si sono ridotte a una mera formalità richiesta dalla Banca d’Italia e dalla BCE.
Le società incaricate, spesso in accordo con gli istituti di credito, redigono valutazioni approssimative, al limite della conformità con le Linee Guida ABI e con gli standard internazionali di valutazione immobiliare.

In questo processo, i tecnici e i professionisti coinvolti non svolgono più un vero ruolo di controllo e di determinazione del valore immobiliare, ma diventano parte di un iter standardizzato a basso costo. Tale approccio, seppur utile a contenere i tempi e le spese, espone però a rischi rilevanti in caso di contenzioso.

La verifica della conformità edilizia e urbanistica viene spesso effettuata solo su documenti forniti dal mutuatario o dalla parte venditrice, i quali talvolta omettono la presenza di abusi edilizi. Il sopralluogo del tecnico si riduce così a un esame superficiale, condizionato anche dai compensi irrisori riconosciuti (50–80 €).
Di conseguenza, il credito non è realmente garantito ed eventuali controlli successivi possono portare a pesanti sanzioni amministrative o addirittura alla demolizione di volumetrie non sanabili.

A ciò si aggiunge un problema di percezione: il cliente è convinto che la perizia lo tuteli, ma la giurisprudenza ha più volte chiarito che la responsabilità del perito si limita alla sola verifica del valore di mercato. L’acquirente, quindi, scopre spesso solo dopo l’acquisto di dover affrontare ulteriori spese per accertamenti, regolarizzazioni e sanatorie.

È da tempo evidente che una due diligence tecnico-urbanistica rappresenterebbe lo strumento più corretto per determinare il reale valore di mercato di un immobile. Tuttavia, essendo un costo aggiuntivo, questa attività viene raramente richiesta, o peggio, svolta in modo sommario da figure non qualificate (come gli agenti immobiliari), con interpretazioni errate delle normative.

Per tutelarsi davvero in fase di acquisto è quindi fondamentale incaricare un professionista abilitato, che esegua tutte le verifiche necessarie e, se richiesto, rediga un “Certificato di Stato Legittimo”. Con questo documento il tecnico si assume la responsabilità delle proprie dichiarazioni, garantendo così maggiore sicurezza all’acquirente, che in caso di errori potrà rivalersi sul professionista.

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Due diligence immobiliare: la corretta determinazione della consistenza del bene

Nell’ambito di un’analisi di tipo due diligence, uno degli aspetti fondamentali è la corretta determinazione della consistenza del bene oggetto di indagine.

Il primo passo consiste nel verificare la descrizione riportata nell’atto di compravendita: essa deve corrispondere a quanto indicato nella planimetria catastale allegata, che rappresenta di fatto il perimetro trasferito a terzi. Parallelamente, è indispensabile controllare anche la descrizione dei confini riportata nell’atto, confrontandola con la situazione effettiva al momento del trasferimento.

Una ricostruzione coerente e puntuale è essenziale: la consistenza del bene potrebbe infatti risultare modificata nel tempo a seguito di variazioni catastali, aggiornamenti di planimetria o modifiche dei confini dovute a frazionamenti.

Per garantire un’analisi completa e affidabile, consiglio sempre di integrare la documentazione con una visura ipocatastale, recuperando le formalità che hanno interessato l’immobile nel corso del tempo.

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DESCRIZIONE E VERIFICA DEI CONFINI: ASPETTI TECNICI E OPERATIVI

La descrizione dei confini di un terreno o di un immobile rappresenta un passaggio fondamentale all’interno di una verifica tecnica, poiché incide direttamente sull’esatta individuazione del lotto o dell’unità e sulla corretta definizione dei rapporti di vicinato.

I confini catastali sono rilevabili tramite le mappe del Nuovo Catasto Terreni o, nel caso di unità edificate, dal Catasto Fabbricati. Il tecnico incaricato, attraverso un sopralluogo diretto e la consultazione delle banche dati catastali, verifica la corrispondenza tra lo stato di fatto e la rappresentazione grafica ufficiale. Tale operazione richiede attenzione alla corretta posizione del fabbricato sulla mappa e al confronto con i dati metrici eventualmente disponibili.

Oltre al mero tracciato perimetrale, l’analisi dei confini dovrebbe sempre considerare l’accessibilità del bene: nel caso in cui l’accesso avvenga attraverso fondi di proprietà di terzi, è necessario accertare l’esistenza di eventuali servitù di passaggio, già costituite o da formalizzare, al fine di garantire il legittimo uso dell’immobile.

Durante la redazione della relazione, la descrizione dei confini deve avvenire in senso orario a partire dall’ingresso principale.
Per gli edifici composti da più unità immobiliari, è inoltre essenziale tenere conto dell’esistenza e della configurazione delle parti comuni, in quanto i confini di ciascuna porzione sono strettamente connessi alla struttura del condominio.

In assenza di una formale costituzione del condominio o di un regolamento che disciplini le parti comuni, è opportuno evidenziare la necessità di provvedere all’identificazione di tali spazi e alla corretta delimitazione dei muri di confine, i quali devono corrispondere a quanto rappresentato nei progetti depositati presso le competenti amministrazioni pubbliche.

Ne consegue che la verifica dei confini non può ridursi a una semplice descrizione perimetrale: essa richiede una valutazione tecnica approfondita, fondata su rilievi diretti, dati catastali, documentazione progettuale e, se necessario, atti di provenienza. Solo attraverso un approccio scrupoloso e metodico è possibile garantire certezza giuridica e tecnica nella definizione del bene.

Vero, ma è possibile che le mappe non siano aggiornate. Inoltre è possibile che il posizionamento del fabbricato non corrisponda con le mappe o la morfologia del lotto sia discordante con lo stato sul posto. Il recupero del “Tipo Mappale” e/o “Tipo frazionamento” potrebbe chiarire meglio eventuali discordanze.

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DEROGHE AI REQUISITI IGEINICO SANITARI PER IMMOBILI RESIDENZIALI VINCOLATI: Decreto Semplificazioni 2021

Il Decreto Semplificazioni 2021, convertito nella Legge n. 108/2021 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 31 luglio 2021), ha introdotto importanti novità per la riqualificazione degli immobili residenziali sottoposti a vincolo culturale.

Con l’art. 51, comma 1, lettera f-bis, è stato inserito un nuovo comma dopo il secondo all’interno dell’art. 10 del D.L. 76/2020, che disciplina gli interventi edilizi su edifici dichiarati di interesse culturale, tutelati ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004).

Deroghe concesse per immobili residenziali vincolati

Nei casi in cui l’immobile residenziale sia sottoposto a tutela, viene riconosciuta la possibilità di applicare parametri igienico-sanitari meno rigidi rispetto a quelli imposti dal DM Sanità del 5 luglio 1975. In particolare:

  • Altezza minima interna degli ambienti abitabili:
    Ridotta da 2,70 metri a 2,40 metri;
  • Altezza minima per locali accessori (bagni, ripostigli, ecc.):
    Da 2,40 metri a 2,20 metri;
  • Fattore medio di luce diurna (DF):
    Accettato pari all’1% invece del 2% minimo previsto in via ordinaria. (Nota: L’1% è un valore che può essere raggiunto anche in contesti architettonici storici con finestre ridotte);
  • Rapporto aeroilluminante (RAI):
    Accettato pari a 1/16 della superficie calpestabile, anziché 1/8, come stabilito dal DM 1975.

Una norma che apre alla rigenerazione del patrimonio storico residenziale

Questa norma ha un impatto concreto per tutti quei tecnici che si trovano a intervenire su edifici storici o vincolati: permette di riutilizzare spazi altrimenti non conformi, pur mantenendo il rispetto della normativa di tutela architettonica e paesaggistica.

L’obiettivo è favorire il recupero del patrimonio edilizio residenziale esistente, rendendo compatibili le esigenze di tutela con quelle di abitabilità e funzionalità, senza stravolgere la natura dell’immobile.


Conclusione
Le deroghe introdotte rappresentano uno strumento utile per tecnici, progettisti e proprietari, ma devono essere gestite con attenzione, documentando sempre la presenza del vincolo culturale e ottenendo i nulla osta richiesti.
In questo quadro normativo, si conferma il ruolo cruciale del professionista nel coniugare valorizzazione culturale e funzionalità edilizia.

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CILA, SCIA e Permesso di Costruire (PDC): quale titolo edilizio per quali interventi

Quando si eseguono lavori su un immobile, è fondamentale individuare il titolo abilitativo corretto da presentare al Comune. Il D.P.R. 380/2001, noto come Testo Unico dell’Edilizia, stabilisce tre principali strumenti autorizzativi: la CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata), la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) e il Permesso di Costruire.

La CILA è la pratica edilizia più semplice. Si utilizza per interventi di manutenzione straordinaria che non coinvolgono le strutture portanti e non modificano la volumetria o la destinazione d’uso dell’immobile. Rientrano in questa categoria le opere interne come lo spostamento di tramezzi, il rifacimento di impianti o l’adeguamento dei servizi igienici. Non richiede autorizzazione esplicita da parte del Comune, ma va asseverata da un tecnico abilitato.

La SCIA è invece necessaria quando gli interventi diventano più complessi e interessano le strutture portanti (lieve entità), le facciate o comportano una ristrutturazione edilizia significativa, purché non vi siano modifiche sostanziali all’assetto urbanistico o aumenti volumetrici. Richiede la presentazione di un progetto da parte di un tecnico e consente l’inizio dei lavori contestualmente al deposito della segnalazione, salvo diversa indicazione del Comune.

Il Permesso di Costruire (PDC) è richiesto per interventi di maggiore impatto sul territorio o sull’organismo edilizio. È obbligatorio per nuove costruzioni (o ampliamenti del volume esistente), cambi di destinazione d’uso con rilevanza urbanistica e per tutte le forme di ristrutturazione edilizia e urbanistica che modificano in modo sostanziale l’immobile, anche attraverso l’incremento delle unità immobiliari, la modifica della sagoma o l’incidenza sulle caratteristiche urbanistiche della zona (. A differenza della CILA e della SCIA, il PdC deve essere rilasciato formalmente dal Comune dopo un’istruttoria tecnica.

In sintesi, la scelta del titolo edilizio corretto dipende dalla natura dell’intervento da eseguire. È sempre opportuno affidarsi a un tecnico abilitato, in grado di valutare con precisione il quadro normativo e urbanistico locale, evitando errori che potrebbero comportare sanzioni o blocchi amministrativi. La corretta gestione preliminare delle pratiche edilizie è una garanzia di regolarità e tutela, sia per il committente sia per il professionista incaricato.

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COMPLESSITA’ DELL’INCARICO E DESTINAZIONE D’USO DEL BENE

Ogni perizia estimativa può presentare gradi di complessità molto diversi: valutare un appartamento standard è un conto, stimare il valore di un complesso industriale storico o di un terreno edificabile con vincoli paesaggistici è un altro. La complessità tecnica dell’incarico incide direttamente sull’onorario, poiché determina la mole di lavoro, le competenze specialistiche richieste e le responsabilità assunte. Allo stesso modo, la destinazione d’uso e la natura del bene oggetto di stima (immobile residenziale, commerciale, industriale, rurale, opera d’arte, macchinario, ecc.) ne influenzano la difficoltà di valutazione. Ad esempio, una stima immobiliare per un’abitazione civile in zona urbana, con molti comparabili di mercato disponibili, sarà in genere più semplice (e meno onerosa) rispetto a una stima di un immobile a destinazione speciale (come un ospedale, un impianto produttivo o una chiesa storica), dove occorre considerare metodi valutativi complessi o dati di mercato scarsi.

Le norme sui parametri professionali riconoscono formalmente questa variabilità: il Parametro “G” di complessità nel DM 17/2016 viene individuato in funzione della categoria dell’opera e della sua destinazione funzionale​. In altri termini, opere (o beni) più complesse – spesso legate a destinazioni d’uso particolari – hanno coefficienti più alti che fanno aumentare il compenso base. Un edificio di grande importanza o complessità (es. un’opera infrastrutturale, un bene vincolato, un edificio con impianti speciali) viene inquadrato con un grado di complessità maggiore rispetto a un’opera semplice (es. fabbricato rurale standard). Anche senza addentrarsi nei calcoli parametrici, il professionista deve valutare attentamente i fattori di complessità specifici: ad esempio, la necessità di studi aggiuntivi (indagini geologiche, verifiche strutturali, analisi economico-finanziarie se il bene genera reddito), la presenza di vincoli normativi (vincolo storico-artistico, destinazione urbanistica particolare), la finalità della perizia (se è finalizzata a una transazione ordinaria o fa parte di un contenzioso complesso). Tutto ciò va discusso con il cliente e riflesso nell’onorario.

In particolare, la destinazione d’uso del bene spesso implica differenti metodologie estimative: valutare un immobile a uso commerciale comporta analisi (redditività, contratti di locazione) diverse da quelle per un immobile residenziale (comparazione di valori di mercato), e queste analisi extra richiedono tempo e competenza. Un esempio pratico: la perizia di un capannone industriale dovrà considerare impianti, macchinari, eventuali contaminazioni del suolo, mentre la perizia di un appartamento si focalizzerà su superfici, finiture e compravendite comparabili. È dunque ragionevole che il compenso peritale sia proporzionato alla complessità: a parità di valore stimato, un bene di difficile valutazione potrà giustificare un onorario più elevato rispetto a un bene di facile stima. Questa logica è in linea anche col principio, espresso nel Codice Deontologico di molti ordini professionali, secondo cui il compenso deve essere commisurato alla quantità e qualità della prestazione.

Nella pratica, quando si redige un preventivo per una perizia, è utile indicare se l’incarico presenta aspetti di particolare complessità o rilevanza della destinazione d’uso, motivando l’incidenza sull’onorario. Ad esempio: “Trattandosi di un immobile a destinazione commerciale con contratti di locazione in essere, la stima richiederà un’analisi locativa e finanziaria aggiuntiva, pertanto il compenso tiene conto di tale complessità”. In conclusione, complessità e destinazione d’uso sono fattori chiave per modulare l’onorario: vanno sempre considerati e fatti emergere con chiarezza, sia per giustificare la parcella al cliente, sia per assicurare un’equa remunerazione al professionista in relazione all’impegno profuso​.

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ONORARI PER VALUTAZIONI IMMOBILIARI: Normativa

Quadro Normativo e Riferimenti Attuali

Nel corso dell’ultimo decennio la disciplina degli onorari professionali in Italia è profondamente cambiata. I tariffari minimi obbligatori sono stati aboliti: i minimi inderogabili delle parcelle tecniche sono stati eliminati dal Decreto Bersani (D.L. 223/2006) e tutte le tariffe professionali fisse sono state abrogate con il Decreto Monti (D.L. 1/2012)​. Ciò significa che oggi gli importi degli onorari devono essere liberamente concordati con il cliente al momento dell’incarico, preferibilmente per iscritto, come previsto dall’art. 9 del D.L. 1/2012 convertito in L. 27/2012​. In sede di conferimento dell’incarico, il professionista è tenuto per legge a comunicare per iscritto il grado di complessità della prestazione e un preventivo di massima, indicando tutte le voci di costo (compenso, spese, oneri e contributi)​. Dal 2017 infatti vige l’obbligo del preventivo scritto per tutti i professionisti, introdotto dalla Legge 4 agosto 2017 n. 124​. Inoltre, la mancanza del preventivo può avere conseguenze negative in sede giudiziale: il DM 140/2012 stabilisce che l’assenza della prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione sfavorevole nella liquidazione giudiziale dei compensi.

Nonostante la liberalizzazione, esistono riferimenti normativi per quantificare i compensi in modo equo e trasparente. In ambito giudiziario, ad esempio, il compenso del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) o del perito nominato dal giudice è regolato dal Testo Unico sulle spese di giustizia (DPR 115/2002) e dalle relative tabelle ministeriali. Queste tabelle (derivate dalla L. 319/1980 e dal DM Giustizia 30 maggio 2002) prevedono onorari fissi o variabili a percentuale per determinate materie, e in via residuale onorari a tempo (vacazioni) quando non sia applicabile un criterio a valore​. In ambito extragiudiziale (incarichi privati o perizie stragiudiziali), non vi sono più tariffe obbligatorie: il compenso può essere pattuito liberamente, ma spesso si fa riferimento a parametri di congruità stabiliti normativamente. Un riferimento importante è il Decreto del Ministero della Giustizia 17 giugno 2016 (cosiddetto “Decreto Parametri”), emanato ai sensi dell’art. 24, comma 8, del D.Lgs. 50/2016 (Codice Appalti). Questo decreto approva le tabelle dei corrispettivi commisurati alla qualità e complessità della prestazione per i servizi di architettura e ingegneria​. Il DM 17/06/2016, di fatto aggiornando il precedente DM 143/2013, fornisce un metodo parametrico per calcolare compensi proporzionati al livello qualitativo dell’opera e dell’incarico professionale. Pur non reintroducendo tariffe obbligatorie (i valori risultanti non sono minimi inderogabili, vista l’abolizione del 2012), questo DM funge da norma tecnica di riferimento per determinare il compenso congruo massimo in certi contesti (es. spese tecniche ammissibili a detrazione fiscale, gare pubbliche)​. In sintesi, per gli appalti pubblici di servizi di ingegneria e architettura, la base d’asta deve essere calcolata secondo tali parametri ufficiali, assicurando che il corrispettivo sia commisurato a costo, complessità e specificità dell’opera progettata.

Da segnalare che di recente è stato emanato il principio dell’equo compenso a tutela dei professionisti. La Legge 21 aprile 2023 n. 49 ha sancito l’obbligatorietà di compensi proporzionati all’importanza dell’opera, ripristinando di fatto il valore legale dei parametri minimi per gli incarichi svolti per committenti “forti” (banche, assicurazioni, grandi imprese e pubbliche amministrazioni)​. In base a tale legge, sono nulli i accordi con questi committenti che prevedano compensi iniqui al di sotto dei parametri vigenti, rafforzando la posizione del professionista nel negoziare un onorario adeguato. Questo aggiornamento normativo è importante anche per le perizie estimative: ad esempio, una perizia richiesta da un istituto bancario dovrà rispettare il principio dell’equo compenso, evitando ribassi eccessivi rispetto ai parametri ufficiali.

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DIFFERENZE TRA PERIZIA SEMPLICE, ASSEVERATA O GIURATA

Nel campo delle valutazioni estimative esistono differenti tipologie di perizia, che si distinguono per il livello di formalità e di responsabilità assunta dal tecnico. In particolare, si parla di perizia semplice, asseverata o giurata. Pur trattando dello stesso elaborato tecnico (una relazione di stima redatta da un professionista abilitato), la differenza sta nelle dichiarazioni di veridicità e nelle procedure di giuramento. Tali differenze possono riflettersi anche sugli onorari, poiché incidono sul lavoro e sulle responsabilità del perito. Ecco un confronto tra i tre tipi:

  • Perizia semplice: è la forma più basilare. Il tecnico redige la relazione di stima in autonomia, riportando i dati rilevati e le proprie valutazioni, senza alcuna asseverazione o giuramento. Non sono richieste formalità particolari: il professionista firma il documento, ma non si assume responsabilità legale circa la veridicità delle informazioni fornite dal committente o riscontrate, al di là della normale diligenza​. In sostanza, la perizia semplice è una relazione tecnica non giurata, utilizzabile per finalità interne, consulenze informali, valutazioni preliminari ecc. Proprio perché priva di valore giurato, il suo contenuto probatorio è limitato: il tecnico non risponde penalmente di eventuali inesattezze (salvo il caso di dolo evidente). Dal punto di vista degli onorari, la perizia semplice di solito comporta un compenso inferiore rispetto alle forme asseverate, sia perché richiede meno adempimenti, sia perché il tecnico non espone la propria responsabilità oltre il campo civile (contrattuale) ordinario.
  • Perizia asseverata: in questo caso il tecnico aggiunge all’interno della relazione una dichiarazione di veridicità, con cui assevera (attesta) che quanto scritto corrisponde al vero, assumendosene la responsabilità sotto la propria firma. La caratteristica della perizia asseverata è che non serve il giuramento davanti a un pubblico ufficiale: è sufficiente la certificazione del professionista stesso. In pratica, l’esperto inserisce in calce al documento una formula dichiarativa (es. “Il sottoscritto assevera, sotto la propria personale responsabilità, la veridicità dei fatti esposti nella presente perizia…”), impegnandosi personalmente circa la correttezza delle informazioni. Così facendo, il tecnico si assume una responsabilità anche penale per false attestazioni: in caso di dolo o colpa grave nelle dichiarazioni, può incorrere nel reato di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico​. La perizia asseverata dunque ha un peso legale maggiore della semplice, perché supportata dalla dichiarazione formale del perito. È spesso richiesta in contesti amministrativi o contrattuali – ad esempio perizie di stima per divisioni ereditarie, valutazioni per pratiche assicurative, stime giurate per aumenti di capitale, ecc. – dove si vuole un documento più affidabile e formalmente garantito senza arrivare al giuramento in tribunale. Dal punto di vista dell’onorario, la perizia asseverata può giustificare un compenso più alto rispetto a una semplice, considerando il maggior impegno (redazione della formula di asseverazione, applicazione delle marche da bollo, responsabilità assunta). Spesso si aggiunge un piccolo importo forfettario per coprire le spese di bollo (€16 ogni 4 pagine) e di segreteria (€3-4) necessarie per l’asseverazione​, qualora il tecnico proceda comunque a far autenticare la propria dichiarazione in tribunale o da un notaio (anche se formalmente non obbligatorio, molti preferiscono depositare l’asseverazione presso un cancelliere per maggiore ufficialità).
  • Perizia giurata: è il livello più elevato di formalità. Oltre a redigere la relazione e asseverarla, il perito presta giuramento davanti a un pubblico ufficiale (normalmente il cancelliere di tribunale, oppure un notaio) sull’autenticità e fedeltà del proprio operato​. Il tecnico, in presenza dell’autorità, pronuncia la formula di rito impegnandosi ad aver “bene e fedelmente adempiuto all’incarico al solo scopo di far conoscere la verità”, e firma la perizia alla presenza del cancelliere/notaio, che a sua volta appone il verbale di giuramento. Questo procedimento conferisce al documento un valore legale molto forte: la perizia giurata può fare fede in giudizio quasi come una prova testimoniale, e un’eventuale falsità nelle dichiarazioni integra il reato di falso giurato punito con la reclusione fino a 2 anni​. Di fatto, la perizia giurata è considerata la più attendibile e “sicura” delle tre tipologie, proprio perché chi la sottoscrive accetta consapevolmente il rischio di sanzioni penali gravi in caso di mendacio​. Questo tipo di perizia è spesso richiesto in sede giudiziaria (perizie per cause civili, stime in procedimenti di esecuzione immobiliare, CTU che producono elaborati giurati) o per atti pubblici importanti (perizie per la quotazione di beni in borsa, stime di partecipazioni societarie, etc.). L’iter per il tecnico è più complesso: deve recarsi presso l’ufficio preposto (cancelleria del tribunale) con la perizia asseverata, applicare le marche da bollo e prestare il giuramento. Ciò implica più tempo e responsabilità, che giustificano normalmente un onorario maggiore. In una parcella perizia giurata si troveranno voci aggiuntive come: “onorario per assistenza al giuramento in Tribunale € X” oppure un aumento percentuale sul compenso base, oltre naturalmente al rimborso dei bolli e diritti versati. La differenza di costo rispetto a una perizia semplice è quindi legata sia alle maggiori formalità sia al maggior valore legale del documento prodotto.

In sintesi, la perizia semplice è priva di garanzie formali (nessuna assunzione di responsabilità ulteriore del tecnico), l’asseverata prevede l’attestazione di veridicità a firma del tecnico (impegno personale e penale), la giurata aggiunge il giuramento solenne davanti a un pubblico ufficiale. La scelta dipende dallo scopo della perizia: se serve valore legale elevato (ad esempio in giudizio o per atti pubblici), si opterà per una giurata; per esigenze intermedie (ad es. presentazione in banca per un mutuo o riparto assicurativo) può bastare un’asseverata; per semplici consulenze tecniche può essere sufficiente una perizia semplice. Il professionista deve far comprendere al cliente tali differenze e proporre il tipo di perizia adeguato al caso, con relativo onorario.

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PERIZIA VALUTATIVE A BASSO COSTO E CONCORRENZA SLEALE: Riflessione per i tecnici

Nel settore delle valutazioni immobiliari residenziali massive, in particolare quelle legate all’erogazione di mutui ipotecari, si sta sempre più diffondendo la prassi di affidare incarichi a tecnici abilitati in cambio di compensi simbolici spesso inadeguati rispetto al tempo, alle competenze e alle responsabilità richieste.

Una deriva professionale che ha ormai assunto i contorni della concorrenza sleale, minando non solo la dignità della professione, ma anche la qualità delle stime prodotte.

Il paradosso delle perizie per mutuo

Molte banche, attraverso società terze o piattaforme convenzionate, propongono incarichi di perizia estimativa a onorari irrisori, spesso inferiori a 80 euro lordi per sopralluogo, stesura del rapporto, confronto con la documentazione e trasmissione telematica secondo standard prestabiliti. In alcuni casi il compenso pattuito non copre nemmeno i costi vivi sostenuti dal tecnico (trasferta, strumenti, tempo di compilazione).

A fronte di ciò, viene comunque richiesta una perizia conforme agli standard IVS, RICS o ABI, redatta da un professionista abilitato, responsabile civilmente e penalmente del contenuto, a tutela di un’operazione creditizia di decine o centinaia di migliaia di euro.

Concorrenza sleale tra tecnici

Accettare questi incarichi a compensi al di sotto della soglia minima di dignità professionale non rappresenta una scelta neutra: significa alimentare una spirale al ribasso, nella quale il lavoro tecnico viene svalutato e svuotato di valore. Si tratta a tutti gli effetti di concorrenza sleale, che danneggia l’intera categoria e mina la credibilità del perito agli occhi dei clienti e delle istituzioni.

La recente Legge sull’equo compenso (L. 49/2023) è nata proprio per contrastare questi fenomeni, stabilendo che ogni prestazione professionale deve essere retribuita in modo proporzionato alla complessità dell’incarico e ai parametri ministeriali. Accettare incarichi al di sotto di tale soglia significa sottovalutare se stessi e fornire un servizio potenzialmente carente di accuratezza e approfondimento.

Una posizione professionale chiara: dire no

Rinunciare a incarichi sottopagati non è una perdita, ma una scelta etica e professionale. Significa difendere il proprio valore, la qualità del lavoro e la sostenibilità dell’attività. Un tecnico che rifiuta un incarico perché non adeguatamente retribuito:

  • tutela la propria responsabilità professionale;
  • evita di svendere tempo e competenze;
  • rafforza il principio di equità verso i colleghi;
  • protegge il cliente finale da stime frettolose e non affidabili.

Conclusione

Ogni professionista ha la libertà di scegliere i propri incarichi, ma ha anche la responsabilità di non contribuire alla svalutazione sistematica del proprio ruolo. La perizia estimativa per un mutuo non è un semplice documento: è la base su cui poggia un credito, un investimento, un rischio bancario.

Se il compenso offerto non consente di svolgere il lavoro con rigore e competenza, è giusto e doveroso dire: “No, grazie.”

Il compenso equo a perizia, con incarichi massivi e continui, non dovrebbe essere inferiore ad € 300, visti gli attuali costi di gestione e spese da sostenere, per una normale perizia di immobile residenziale massiva . Io lavoro da anni nel settore e credo si sia toccato il fondo anche considerando i rischi professionali .
Ho sempre accettato in passato da una società con cui collaboro il minimo indispensabile, ma alle attuali condizioni non scenderei sicuramente sotto la soglia indicata. Credo che con i rincari di carburante e spese fisse di ufficio gli attuali compensi vanno rivisti e rialzati.

Il problema principale è che ho assistito a una conferenza in cui alcuni relatori, evidentemente poco competenti in materia, si sono permessi di proporre aumenti del 10-15% rispetto alle attuali tariffe praticate dalle società terze intermediarie.

Fortunatamente, la maggior parte dei professionisti rifiuta di accettare rapporti continuativi alle condizioni proposte, rispondendo con fermezza: “No, grazie.”
È infatti inaccettabile che il cliente finale paghi una tariffa complessiva di cui solo il 15-20% rappresenta il compenso effettivo del tecnico incaricato della perizia.

Pur comprendendo che le società terze debbano coprire i costi di gestione e garantire un utile di esercizio, che potrebbe ragionevolmente attestarsi attorno al 25-30%, resta da chiedersi: la percentuale restante, a chi va?
Questa situazione solleva seri interrogativi in termini di trasparenza, equità e sostenibilità del sistema.

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TOLLERANZE COSTRUTTIVE – Art. 34-bis del DPR 380/2001

La normativa vigente può risultare fuorviante rispetto a quanto effettivamente previsto dall’articolo di legge. È assolutamente errato ritenere che l’applicazione delle tolleranze costruttive sia valida indistintamente in tutti gli ambiti.

In materia urbanistica ed edilizia, le tolleranze possono essere applicate, ma è necessario depositare presso il Comune una relazione sullo stato legittimo dell’immobile, corredata da un elaborato grafico che dimostri chiaramente che le difformità rientrano nei limiti previsti dalla norma.

Non rientrano nelle casistiche ammesse le discordanze relative all’agibilità: in questo ambito, la tolleranza rimane fissata al 2%. Pertanto, non è possibile applicare margini superiori per quanto riguarda l’altezza abitabile e i rapporti aero-illuminanti, poiché eventuali superamenti pregiudicherebbero la possibilità di dichiarare l’immobile abitabile.

Ottimo spunto di riflessione nella consapevolezza che non può essere demandato all’atto di trasferimento della proprietà l’appuramento delle tolleranze. La problematica resta tuttavia insita nel difficile accoglimento da parte di molti Comuni di una relazione sullo stato legittimo dell’immobile scollegata da una procedura edilizia (Cila/Scia/PDC), quest’ultima non attuabile in quanto le tolleranze non costituiscono difformità.

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