Nel settore delle valutazioni immobiliari residenziali massive, in particolare quelle legate all’erogazione di mutui ipotecari, si sta sempre più diffondendo la prassi di affidare incarichi a tecnici abilitati in cambio di compensi simbolici spesso inadeguati rispetto al tempo, alle competenze e alle responsabilità richieste.
Una deriva professionale che ha ormai assunto i contorni della concorrenza sleale, minando non solo la dignità della professione, ma anche la qualità delle stime prodotte.
Il paradosso delle perizie per mutuo
Molte banche, attraverso società terze o piattaforme convenzionate, propongono incarichi di perizia estimativa a onorari irrisori, spesso inferiori a 80 euro lordi per sopralluogo, stesura del rapporto, confronto con la documentazione e trasmissione telematica secondo standard prestabiliti. In alcuni casi il compenso pattuito non copre nemmeno i costi vivi sostenuti dal tecnico (trasferta, strumenti, tempo di compilazione).
A fronte di ciò, viene comunque richiesta una perizia conforme agli standard IVS, RICS o ABI, redatta da un professionista abilitato, responsabile civilmente e penalmente del contenuto, a tutela di un’operazione creditizia di decine o centinaia di migliaia di euro.
Concorrenza sleale tra tecnici
Accettare questi incarichi a compensi al di sotto della soglia minima di dignità professionale non rappresenta una scelta neutra: significa alimentare una spirale al ribasso, nella quale il lavoro tecnico viene svalutato e svuotato di valore. Si tratta a tutti gli effetti di concorrenza sleale, che danneggia l’intera categoria e mina la credibilità del perito agli occhi dei clienti e delle istituzioni.
La recente Legge sull’equo compenso (L. 49/2023) è nata proprio per contrastare questi fenomeni, stabilendo che ogni prestazione professionale deve essere retribuita in modo proporzionato alla complessità dell’incarico e ai parametri ministeriali. Accettare incarichi al di sotto di tale soglia significa sottovalutare se stessi e fornire un servizio potenzialmente carente di accuratezza e approfondimento.
Una posizione professionale chiara: dire no
Rinunciare a incarichi sottopagati non è una perdita, ma una scelta etica e professionale. Significa difendere il proprio valore, la qualità del lavoro e la sostenibilità dell’attività. Un tecnico che rifiuta un incarico perché non adeguatamente retribuito:
- tutela la propria responsabilità professionale;
- evita di svendere tempo e competenze;
- rafforza il principio di equità verso i colleghi;
- protegge il cliente finale da stime frettolose e non affidabili.
Conclusione
Ogni professionista ha la libertà di scegliere i propri incarichi, ma ha anche la responsabilità di non contribuire alla svalutazione sistematica del proprio ruolo. La perizia estimativa per un mutuo non è un semplice documento: è la base su cui poggia un credito, un investimento, un rischio bancario.
Se il compenso offerto non consente di svolgere il lavoro con rigore e competenza, è giusto e doveroso dire: “No, grazie.”
Il compenso equo a perizia, con incarichi massivi e continui, non dovrebbe essere inferiore ad € 300, visti gli attuali costi di gestione e spese da sostenere, per una normale perizia di immobile residenziale massiva . Io lavoro da anni nel settore e credo si sia toccato il fondo anche considerando i rischi professionali .
Ho sempre accettato in passato da una società con cui collaboro il minimo indispensabile, ma alle attuali condizioni non scenderei sicuramente sotto la soglia indicata. Credo che con i rincari di carburante e spese fisse di ufficio gli attuali compensi vanno rivisti e rialzati.
Il problema principale è che ho assistito a una conferenza in cui alcuni relatori, evidentemente poco competenti in materia, si sono permessi di proporre aumenti del 10-15% rispetto alle attuali tariffe praticate dalle società terze intermediarie.
Fortunatamente, la maggior parte dei professionisti rifiuta di accettare rapporti continuativi alle condizioni proposte, rispondendo con fermezza: “No, grazie.”
È infatti inaccettabile che il cliente finale paghi una tariffa complessiva di cui solo il 15-20% rappresenta il compenso effettivo del tecnico incaricato della perizia.
Pur comprendendo che le società terze debbano coprire i costi di gestione e garantire un utile di esercizio, che potrebbe ragionevolmente attestarsi attorno al 25-30%, resta da chiedersi: la percentuale restante, a chi va?
Questa situazione solleva seri interrogativi in termini di trasparenza, equità e sostenibilità del sistema.